mercoledì 11 luglio 2012

Sconosciuto

Alcuni si divertono a spiarti mentre rientri in casa, altri preferiscono pedinarti per vedere dove vai, altri ancora ti mandano dalle cabine telefoniche sms in cui sentenziano ciò che solo loro sanno con certezza, o forse ciò che solo loro sperano che non accada mai. 
C'è chi ti chiama la notte, a casa, svegliando un po' tutti e facendosi maledire, e c'è chi invece preferisce telefonare per offendere come un leone da cornetta o ansimare al telefono come un cane, compiacendosi lautamente della sua perversione. 
C'è anche chi chiama per stare zitto: in silenzio ascolta chi hai intorno e cerca di percepire l'ambiente per scoprire se sei in mezzo a una festa con altra gente, o a casa da solo con la tua fidanzata. Nessuno di questi si palesa, e viene catalogato nel linguaggio comune sotto il termine di stalker e dal display del cellulare come contatto sconosciuto.
Il mio sconosciuto è dell'ultimo tipo: chiama per stare zitto verso le undici di sera, in genere due volte in pochi minuti. Non mi cerca tutti i giorni: si prende un paio di pause settimanali dalla sua dispendiosa attività. Alla mia risposta rimane attaccato alla cornetta per circa novanta secondi. Scandaglia con la sua fantasia bacata la mia posizone, cerca di arguire che cosa sto facendo durante la sua consueta telefonata serale. 
Qualche volta ridacchia, altre volte respira piano piano. Ieri sera ha trattenuto il fiato per tutta la durata della nostra silente conversazione, tanto che pensavo fosse morto e mi stavo quasi preoccupando, anche al di là delle sue precarie condizioni mentali. Poi, per fortuna, allo scadere del novantesimo secondo, ha buttato giù la linea, confortando le mie ansie e mandando nella disperazione il suo gestore mobile, ormai in procinto di tariffargli anticipatamente il secondo minuto di chiamata.
Il mio sconosciuto ha una trentina d'anni, ha condiviso con me una parte più o meno lunga della mia vita e non vive più nella mia città. Probabilmente è in collera con me perchè si sente tradito, perchè è amareggiato da qualcosa che ha percepito o saputo da terzi e che non credeva potesse accadermi. Ma non gli interessa solo ascoltare chi ho d'intorno, dove mi trovo, e se la sua chiamata mi rende allegro e ridanciano o triste e infastidito. Non vuole starsente zitto e ascoltare in eterno: prima o poi parlerà per comunicarmi qualcosa che ritiene importante e che io so già. Prende tempo perchè è troppo combattuto e orgoglioso, offeso e superficiale, arido e vendicativo, e in questo modo cerca di farmi sorgere dei dubbi sulla sua identità.
E, mentre il telefono segna ancora sconosciuto, io ho ben chiara la sua immagine.

giovedì 5 luglio 2012

Tributo a mia nonna

Il giorno della mia laurea mi alzai di buon mattino: ero agitato, nervoso e molto emozionato. Di lì a qualche ora sarei diventato dottore e la cosa mi suonava strana. Ancor più strano fu vedere mia nonna sedere sulla panca vicino alla porta blindata della casa in cui vivevo con lei. Era già pronta, con un vestito arancione, la borsa nera sulle ginocchia e gli immancabili occhiali da sole un po' sfumati verso il basso che nascondevano due occhioni azzurri pieni di bontà. Aveva i capelli fatti, aspettava con ansia che mi alzassi per venire con me al grande evento.
In realtà avevamo fissato che fosse mia zia a passare a prenderla, ma la nonna aveva sempre paura di fare tardi e, nonostante le mie rassicurazioni sull'orario (ero il quarto della sessione!), volle che fossi io a portarla in Facoltà e non la spaventò nemmeno la prospettiva di dover attendere per mezza mattinata il mio turno sullo scomodo muricciolo davanti al padiglione D15.
Gli eventi dimostrarono che le sue paure erano fondate: infatti, dal quarto che dovevo essere divenni il secondo, a causa di un paio di forfait, e di conseguenza quasi tutti gli invitati alla mia laurea (genitori e zie compresi) fecero tardi. 
Così, mi ritrovai ad entrare in quell'aula così lunga e moderna, davanti a quei professori così annoiati dal solito tran-tran delle lauree, con un pubblico fortemente ridotto, tra cui però spiccava la capigliatura impeccabile della mia dolcissima nonna.
Oggi che non c'è più penso a tutte le volte, come quella alla laurea, in cui aveva ragione. Penso agli anni (otto) che ho trascorso nella sua casa, ripenso a qualche litigata e ai tanti scherzi che le facevo e che lei ricambiava con una battutaccia o con un sorriso pieno di felicità. Penso alle volte in cui mi salutava facendo capolino nell'oblò dell'ascensore, o a quando, per dirmi ciao, agitava la mano dalla terrazza tutta felice, pur senza vedere dove fossi per i suoi problemi agli occhi. Ripenso alle lacrime che versava non appena si parlava di mio nonno, scomparso dodici anni orsono, e anche a quelle (facili) che lasciava cadere quando era felice per qualcosa: un regalo, un'emozione, un evento particolare.
Queste ultime lacrime le versò il giorno della mia laurea, al riparo degli occhiali, e di nuovo, più recentemente, il giorno in cui festeggiammo il buon esito del mio esame di Stato. Penso che sicuramente avrebbe pianto di gioia anche il giorno del mio matrimonio e chissà, quando succederà, magari la troverò seduta sin dall'alba davanti alla porta della mia nuova casa in attesa che mi alzi, già pronta nel suo abito arancione, con la borsa nera sulle ginocchia, i capelli fatti e gli occhiali fumé, con l'identico obiettivo di nascondere le lacrime già pronte e il costante intento di non fare tardi. 
Oggi sono io che piango appena le penso, poi d'un tratto la sua immagine scherzosa fa capolino nei miei pensieri proprio come dall'oblò dell'ascensore: e allora inizio a sorridere.  

mercoledì 4 luglio 2012

Benvenuti al Sud

Alle 16.10 arrivava uno degli invitati al matrimonio del giorno dopo: il novello fidanzato della terza figlia. A quell'ora così calda arrivava il fiorentino che avevano visto solo una volta, un mese prima. In altre parole, nel bel mezzo della calura estiva, arrivavo io.
Appena sceso dal treno, la trovai sorridente e bellissima. Capelli raccolti per il caldo, occhi desiderosi di un bacio che subito accontentai. Uscimmo dalla stazione e vidi suo padre che ci aspettava. Una stretta di mano, un bacio sulla guancia e fummo per le strade di Napoli, addobbate di tricolori e bandiere in ogni angolo della strada, ancora in festa per la bellissima vittoria della Nazionale contro la Germania.
C'è tanta allegria nella gente di Napoli, tanta voglia di metterti a tuo agio. Hanno un culto dell'ospitalità così elevato che ti sorprende se pensi che non sei tu il protagonista dell'evento che si apprestano a celebrare. Probabilmente tutto nasce dall'idea di famiglia che a quella latitudine è molto più sentita che dalle mie parti e così, non appena entri a far parte della loro comunità, quella che da noi è solo gentilezza, là si trasforma in dolcezza, in gioco e in travolgente simpatia.
Le prime ventiquattro ore dopo il mio arrivo furono piene di timidezza (la mia) e di risate, di tensione che man mano si scioglieva e di curiosità per i posti da scoprire che mi sorprendevano per la loro bellezza. La notte dormii dal fratello della mia fidanzata: non potevo violare la casa della sposa, tanto rassomigliante alla mia fidanzata da esserne la sorella. Alle 16.30 del giorno seguente arrivò il momento del matrimonio.
Fu una cerimonia bella ed intensa: dalla mattinata dei preparativi e delle foto alla serata diventata nottata in un ristorante-albergo con una vista mozzafiato sul golfo di Napoli, passando per la cerimonia nella cappella della scuola militare conclusasi tra applausi e picchetto in onore dello sposo capitano dell'aeronautica e della nuova raggiante moglie.
Il tempo trascorse più in fretta di quanto me lo ero immaginato e presto arrivò il momento di ripartire per Firenze, stavolta insieme alla mia anima gemella. La mattina seguente, mentre gli sposini, nella loro nuova casa, si preparavano per il viaggio di nozze, la madre della mia fidanzata mi consegnò un pacchetto pieno di prelibatezze per me e per i miei genitori. Il padre ci accompagnò alla stazione senza prendere la tangenziale e vidi -quartiere per quartiere- Napoli che si svegliava, già calda nonostante fosse trascorsa appena un'ora dall'arrivo dell'alba. Mentre salivamo sul treno la sorella -la più piccola della famiglia- mi scrisse, dispiaciuta dalla nostra partenza dopo quei giorni trascorsi leggeri e tutti assieme, che le saremmo mancati: guardavo il display del cellulare per rispondere e pensavo che aveva ragione. Mi sarebbero mancati anche loro. Mi girai verso la mia fidanzata per confidarle i miei pensieri e vidi una lacrima solcarle il viso: si stava formando un piccolo lago sotto gli occhiali da sole, che manco a farlo a posta, erano fatti a goccia.
La baciai e l'abbracciai forte, e nel prometterle che saremmo tornati presto a trovare i suoi cari, scoprii di essermi napoletanizzato un po'.

mercoledì 27 giugno 2012

Esame anno primo

Nel silenzio della stanza, il condizionatore si mise a vibrare come un frigo. Lui lavorava fitto fitto. Aveva addosso una camicia celeste e una cravatta sul viola, quasi impermiabile al caldo torrido di quei giorni che pur avvertiva.
Non c'è dubbio che l'aria fresca lo aiutasse a non sudare, ma gli era chiaro che la sofferenza era rimandata solo di qualche ora: la calura lo stava aspettando impaziente proprio fuori dall'ufficio.
Tra un atto e l'altro, tra una ricerca e l'altra, sentiva la concentrazione diradarsi come quelle nuvole che a primavera lasciano spazio al sole e che d'estate tutti noi bramiamo per un po' di refrigerio. Nel mezzo del suo lavoro si mise a pensare a quanto gli era successo nell'ultimo anno: dal superamento dell'esame di stato in poi.
Gli sembrava proprio che fosse passato un secolo: gli sembrava un'altra persona quel ragazzo un po' disperato e pessimista che aveva preparato impaurito l'orale per poi passarlo agilmente, travolgendo così le (proprie) cupe previsioni della vigilia e le pessime sensazioni del momento.
Gli sembrava un'altra persona anche quel ragazzo irrequieto che per un po' aveva albergato nei suoi vestiti e dormito nel suo letto, sempre più deluso quando non disilluso dalle ragazze che via via conosceva o che credeva di conoscere.
Gli sembrava che quel mondo e quei personaggi fossero lontani anni luce, sepolti dentro un cesto di ricordi, spiegazzati e ingialliti, con le loro facce tonde e la lingua lunga rivelatrice di una gran voglia di parlare insoddisfatta.
Anche l'amarezza per qualche battuta poco felice, per qualche situazione poco leggibile e per qualche (presunto) amico che se ne era sparito da un giorno all'altro senza più battere un colpo gli sembrava diversa da quella che avrebbe provato un tempo, come se nel suo nuovo mondo avesse trovato delle lenti diverse per guardare la realtà, graduate al punto giusto anche per decifrare gli accadimenti più controversi e le ipocrisie più palesi.
Arrivò alla conclusione che la differenza l'aveva fatta Lei: proprio quella che Lui non doveva corteggiare. Lei gli aveva dato certezze, tranquillità e tanto amore. Proprio di Lei si era innamorato perdutamente (e la cosa aveva dato fastidio a tanti, compresi i messaggiatori anonimi e i sedicenti moralizzatori), senza che vi fosse spazio per altre considerazioni, se non quella di starle accanto giorno dopo giorno e quindi una settimana, due, e poi i mesi che diventano quasi un anno.
Senza sosta, senza ripensamenti, con l'unico desiderio che l'amore continui a correre più del tempo, e che non si fermi mai. 

venerdì 23 settembre 2011

Quando ti accorgi di essere un marziano...

Alcuni marziani hanno le antenne in testa, altri hanno le orecchie a punta, altri ancora gli occhi fuori dalle orbite. Alcuni marziani hanno la pelle verde, altri i contorni grigi, altri sono rossi come pesciolini in onore del pianeta che rappresentano.
Lui non ha alcuna di queste caratteristiche, a parte gli occhi un po' a palla e degli strani tagli vicino al padiglione auricolare destro. Lui ha la pelle come tutti noi, forse un po' bianchiccia a volte, ma crudelmente rossa solo quando viene toccata senza pietà dal solleone agostano.
Lui parla la nostra lingua, gesticola per esprimersi meglio, come se i movimenti delle mani disegnassero su una tela i suoi modi di vedere le cose. Nonostante ciò, a volte si sente un marziano. E, strano a dirsi, sono proprio gli eventi terreni che danno forza alle sue certezze.
Aveva una fidanzata di lungo corso con cui, dalla fine della storia, si sentiva due o tre volte l'anno. Credeva di averci mantenuto buoni rapporti. L'ha cercata per darle una notizia spiacevole e quella, con fare eroico, gli ha detto che le sue saltuarie chiamate davano fastidio al nuovo fidanzato. Chiamalo -ha suggerito con maturità- così gli spieghi che non c'è niente tra di noi.
Mentre lui controllava la presenza di antenne tra i capelli tagliati di fresco, si è palesata un'altra donna del suo passato. Ricorda solo le parole rabbia e infantilismo appese ai suoi giudizi da maestrina, capace solo di sgridare senza capire e di urlare senza motivo.
Appurato che le sue orecchie erano stondate in cima, decise di scaricare la posta elettronica. Gli apparve una mail di sua cara amica lo accusava di essere freddo nei suoi confronti, dopo che, qualche mese prima, era stata proprio lei a intimargli di prendere le distanze.
A quel punto agì di imperio, si tinse la pelle di verde e partì alla volta del pianeta rosso. Non vide creature con le antenne sulla testa, nè extraterresti con gli occhi fuori dalle orbite o marziani con le orecchie a punta. Trovò solo un pesciolino, naturalmente rosso.

venerdì 2 settembre 2011

Divertente

Piccola. Non di età, ma di centimetri. Ben venti più bassa di lui, ma molto più intelligente. Aveva l'aspetto di chi ha un tesoro e non sa di possederlo, di chi parla senza essere banale, di chi abbellisce un pensiero con un sorriso che, fino a quel momento, ha tenuto nascosto.
Lui la guardava sorseggiare il suo spritz annegato nel ghiaccio e ne scorgeva la lieve abbronzatura figlia della protezione trenta a prova di qualsiasi raggio solare. Era divertente. Il suo modo di raccontare la vita lo metteva di buon umore, allonanava i pensieri negativi di quei giorni, lo rendeva perfino gradevole.
Fumava camel blue mentre aspettava il negroni sbagliato, e rideva mentre parlava dei disastri del lavoro. C'era qualcosa di affascinante nella sua semplicità. Ed era elegante la leggerezza con cui si lasciava prendere in giro.
Il negroni se ne andò via con la rapidità con la quale era arrivato, le risate diventavano sempre più copiose fin quando un botto trasformò le chiacchere in un gelido silenzio. La cameriera, quella dello spritz e del negroni, aveva urtato in cliente, versandogli addosso la pasta al ragù, che ora campeggiava sulla sua bianca camicia.
Mentre il livello delle chiacchiere tornava alla normalità, lei sgranò i suoi grandi occhi e si lisciò i lunghi capelli con le piccole mani: l'orologio aveva sentenziato che era tardi e doveva rientrare.
La accompagnò alla macchina, e, nel salutarla si sporse verso di lei. Un'ora dopo erano ancora lì.

sabato 20 agosto 2011

Il coraggio di non dirglielo

Un piccolo fruscio all'apice del silenzio. I rami degli alberi che circondavano la spiaggia ne furono scossi. Un secondo, non un attimo di più, ma tanto bastò a svegliarlo dal torpore in cui era caduto in quel decimo giorno di vacanza.
Aperti gli occhi, un fascio di luce lo travolse e lo portò di nuovo alla realtà. Era disteso su una spiaggia nera, sentiva sulla schiena i grossi granelli di sabbia che lo infastidivano, ma rimase immobile, in quella posizione, ad ammirare il mare.
Davanti a quello specchio d'acqua calmo, i suoi amici si scambiavano acrobazie coi racchettoni, più attenti a non urtare sassi con i piedi che alla direzione, più che casuale, in cui si muoveva la pallina.
La sua mente però non andava di pari passo con il suo sguardo, ma ne viveva sganciata, cristallizzata nei pensieri che l'avevano attraversata fino ad un attimo prima.
Si era destato con lei nella testa. Una lei nuova, avrebbe giurato, che niente aveva da spartire con le idealizzazioni che lo avevano rapito nei mesi precedenti.
Una lei normale, avrebbe pensato, più vicina al suo cervello ancor prima che al suo cuore. Una lei futura, avrebbe sperato, dato che nel presente non avrebbe certamente potuto viverle al fianco.
Con quest'immagine nella testa si girò su un lato, e sentì forti i granelli pungerlo.
Il sole stava proiettando gli ultimi raggi di quel pomeriggio agostano e i suoi amici erano ancora intenti nelle acrobazie, nel tentativo -spesso vano- di non far cadere la pallina blu sopra la spiaggia nera.
Si chiese se fosse giusto dirglielo, se fosse corretto informarla di ciò che lui sentiva. Si ritrovò disteso e pensieroso, quando un altro fruscio lo condusse lentamente in un sonno purificatore.